Il Consiglio di Stato boccia la proroga: è l’ultima spiaggia per i bagnini?

A circa 10 giorni dal varo della legge di conversione del decreto Milleproroghe (Legge 14/2023), arriva già il cartellino rosso da parte del Consiglio di Stato.

La sentenza ha dichiarato illegittimo il prolungamento fino al 2024 deciso dal governo Meloni. A questo punto i Comuni sono chiamati a organizzare le aste pubbliche previste dalla Bolkestein. Un piccolo richiamo su cosa impone la direttiva Bolkestein: “La direttiva è organizzata su tre ambiti, concernenti l’eliminazione degli ostacoli overweightcare on schuhe damen overweightcare denturaix overweightcare bmx fahrrad tongkhonoithatnhapkhau alviero martini chennaiescortservices.co.in geox sito ufficiale smith and soul trinkflasche edelstahl alviero martini bmx fahrrad abrardiagnostics alla libertà di stabilimento, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e, infine, l’instaurazione della fiducia reciproca tra stati membri.” Di fatto si mira a garantire il rispetto della libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari Paesi.

La proroga di un anno si fondava sull’esigenza di fornire tempo ai Comuni per riformulare i canoni delle concessioni balneari. Questi ultimi, è bene precisare, sono incassati dallo Stato centrale. Il Consiglio di Stato con il nuovo pronunciarsi conferma la sua posizione di far scadere tali concessioni nel 2023 per poi farle andare a bando. Ovviamente questa situazione crea smarrimento e sconforto negli operatori economici del settore.

Il perché della necessità della riforma dei canoni delle concessioni

Per avere un quadro chiaro del contesto è opportuno riportare dei dati. In Italia più della metà delle concessioni demaniali sono destinate a uso turistico-ricreativo, si parla del 58,6%.

 

All’interno di queste sono state censite ben 15.514 concessioni balneari nel 2022, che si estendono su 54 milioni mq di suolo pubblico. Quest’ultime si riducono a 6.592 se ci focalizziamo su quelle “occupate” da imprese balneari. Le restanti 10.443 sono concessioni che operano in altri settori come possono essere quelli riferiti a campeggi o hotel.

La madre di tutte le domande è: quanto rende questo settore? Uno studio del 2019, che è stato largamente contestato dai balneari, ne quantificava il giro d’affari in € 15 miliardi. Nuove stime lo attestano oggi in € 2.1 miliardi. Sono valori assai distanti l’uno dall’altro. La giustificazione risiede che nel primo studio sono stati conteggiati anche i redditi derivati dalle concessioni di alberghi, campeggi e complessi turistici. Tenuto conto di questo aspetto il delta si assottiglia. Avendo ora un dato di riferimento della redditività di tale settore, possiamo capire la criticità sistemica denunciata dalla Corte dei Conti presente nel grafico seguente.

Dal 2016 al 2020 lo Stato ha incassato meno di € 100 milioni per anno per le concessioni balneari. Un’anomalia per cui la Corte dei Conti ha richiamato vigorosamente più e più volte i Governi. Uno studio de La Voce.info, basata su dati del Ministero delle Infrastrutture ha riportato che oltre il 75% delle concessioni pagavano un canone annuale inferiore ai € 5.000 nel 2020.

Gli investimenti dei bagnini

Le associazioni dei balneari richiamano l’attenzione sul concetto di investimento, cioè al plus valore apportato alle concessioni. Con la messa al bando delle aree costiere vedrebbero andare in fumo gli investimenti svolti in questi anni. Da inizio anni 2000 i servizi offerti negli stabilimenti balneari sono aumentati esponenzialmente. Siamo passati dalla classica gestione di spiaggia e ombrelloni a spiagge che contemplano: ristorazione, wellness, dotazioni sportive… Se il “tutto” andrà all’asta come si potrà garantire una sorta di riconoscimento/indennizzo per coloro che hanno investito nella propria attività? In mia opinione è un argomento assai spinoso, ma ho paura che la soluzione che verrà trovata dallo Stato scontenterà gli imprenditori, perché il poco tempo non garantisce una soluzione equa in tal senso.

Solo l’Italia? Cosa succederà?

Fondamentale chiarire l’equivoco: l’Italia non è l’unico Paese richiamato dall’UE. I Paesi a noi più simili per vizi formali sono Spagna e Portogallo. In entrambi i loro ordinamenti se vengono soddisfatte alcune condizioni le concessioni possono essere rinnovate fino a 75 anni. Il che ovviamente è in contrasto con la direttiva.

Il vero problema è che dal 2006 nessun Governo Italiano si è occupato in modo concreto della direttiva europea e del suo impatto. Dopo la posizione dell’ex premier Draghi, la prima sentenza del Consiglio di Stato, le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Mattarella e la seconda sentenza del Consiglio di Stato è chiaro che i vertici vogliono applicare la direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali.

La volontà è chiara, ma quindi? Una grande domanda a cui non è facile rispondere.

Il lavoro burocratico per riformulare i canoni delle concessioni è immane. Di conseguenza, in mia opinione, si posticiperà volenti o nolenti il tutto di un anno. Si fornirà così del tempo ai Comuni, ma non sarà un rimando senza effetti. Il nostro Stato subirà un’ulteriore procedura di infrazione, che tradotto significa una multa salata. Il problema sempre più evidente è che siamo ostaggio di una politica miope. Ci si preoccupa di soddisfare bisogni immediati per fini elettorali e non si ragiona in termini di progettualità per aiutare la crescita del sistema paese.

Francesco Focaccia

Leave a Reply